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È una presenza costante nelle società umane ma i suoi usi, gli elementi costitutivi e le reazioni che suscita possono variare molto a seconda dei diversi contesti culturali.
Un recente studio pubblicato sulla rivista PLOS ONE e condotto da un gruppo australiano di ricercatori del MARCS Institute for Brain, Behaviour and Development, un centro di ricerca della Western Sydney University, ha concluso che la percezione di progressioni di accordi e melodie maggiori o minori come musica allegra o musica triste potrebbe non essere universale: è più probabile che sia il risultato di condizionamenti culturali.
I ricercatori hanno lavorato con diverse comunità della foresta pluviale in Papua Nuova Guinea, tra gruppi che condividono tradizioni musicali comuni ma presentano differenti gradi di esposizione alla musica e alla cultura occidentali. Ai partecipanti all’esperimento è stato chiesto di ascoltare determinate melodie e progressioni di accordi in tonalità maggiore e minore, e di indicare poi quale musica li rendesse più felici o più tristi (un parametro definito dai ricercatori come «valenza emotiva»).